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Cesare Barioli

Riproponiamo con il permesso di Easy To GO! la loro intervista a Cesare Barioli pubblicata sul numero 4 della rivista a inizio 2001. Potete leggere l'originale nell'Archivio del sito di ETG o con questo link diretto.

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di Luca Oriani e Paolo Montrasio

Nello scorso numero abbiamo iniziato la nostra ricerca nelle origini del Go Italiano con un’intervista a Roberto Mercadante che sicuramente può essere considerato uno dei primi giocatori italiani e anche il primo ‘fondatore’ di una associazione nazionale. Non potevamo certo dimenticare nella nostra ricerca Cesare Barioli, che molti dei giocatori di una certa esperienza conoscono come il loro vero insegnante e la cui palestra, il Bu-Sen, è stato il primo luogo di incontro per molti dei goisti oggi ancora presenti sulla scena italiana.

Cesare Barioli non è un personaggio facile.

Non è facile intervistarlo: ti passa sopra come un autotreno, ti copre di fatti, informazioni ed opinioni lasciandoti senza fiato. Non sarebbe corretto dire che non ti dà il tempo di fargli delle domande, sei piuttosto tu che rimani affascinato e quasi ipnotizzato e non vuoi fermare quel fiume in piena di informazioni per paura che le tue domande possano in qualche modo interrompere il suo filo logico. Alla fine dell’intervista Cesare ci ha detto : “Io ho detto quello che penso[...] Se sbobinate fate un casino, meglio che andate a memoria e poi se volete qualche mia frase me la chiedete.”

Abbiamo cercato di seguire il suo consiglio, ma a differenza di quello che pensava non è stato difficile ricostruire l’intervista: la mole di informazioni e di aneddoti era enorme, ma il suo pensiero era evidente e limpido e facile da estrarre.

Intervistando Roberto Mercadante o leggendo la sua intervista si ha l’idea di un personaggio carismatico, con cui però non è un problema non essere d’accordo: ha le sue idee, affascinanti ed innocue... ascoltarlo è quasi rilassante e anche se le sue idee non le condividete è quasi naturale provare simpatia e quasi tenerezza per lui e le sue opinioni, senza poi magari esserne particolarmente influenzati... Nulla di tutto ciò con Cesare, intervistarlo è una specie di tortura se non si è d’accordo con lui: le sue idee sono come pugni nello stomaco, non ammettono mezze misure e non concedono spazio a un atteggiamento condiscendente... o siete d’accordo o non lo siete, senza vie di mezzo. Il motivo per cui l’intervista è stata quasi una tortura è perché alla fine non è semplice non essere d’accordo con lui, e ci si sente quasi in colpa e sminuiti per il fatto di non esserlo... vorresti essere d’accordo con lui perché è stato evidente, a me almeno, che la sua visione è qualcosa di più della mia... una visione in cui il Go non è un gioco o almeno potrebbe essere di più.

“Io toglierei la denominazione come del gioco”, ci ha detto durante l’intervista, ”perché come lo intendo io il Go non si mischia al Monopoli”; e ancora, ”ho incontrato un mio vecchio allievo, che si dedica al Monopoli agonistico. Bello! [...] Però non so se riuscite a capire, questi sono giochini borghesi di una società che guarda gli altri morire di fame. Per carità ci può essere chi si dedica ai giochini borghesi. C’è chi fa le pallottole all’uranio e chi i giochi borghesi. Però il Go poteva essere diverso. Innanzitutto non doveva essere gioco, tanto meno Federazione poi: è una Associazione!”.

Come fai alla fine a pensare che la tua idea, il vedere il Go come un semplice gioco e al limite uno strumento di crescita personale, possa essere anche solo lontanamente migliore o più nobile della sua? Ecco perché intervistarlo non è stata un’esperienza facile, ma in ogni caso credo di poter ringraziare Cesare perché dopo mi sentivo un pochino più piccolo.

Ma ora lasciamo spazio alle parole del Sensei (e fra tutti i giocatori italiani che ho conosciuto, credetemi, non ne saprei trovare uno per cui questo termine sia più adatto...lui poi ne è consapevole e si chiama addirittura “sen-sette” N.d.R.) e cerchiamo di conoscere meglio questo affascinante, e sicuramente un po’ scomodo, personaggio.

Una sola precisazione, dall’intervista abbiamo rimosso molti nomi di goisti italiani, per una ragione ben precisa: le opinioni di Cesare riguardavano in un certo senso tutto il Go italiano, con i nomi fatti solo per portare degli esempi. Secondo noi il suo scopo era quello di comunicare un messaggio e una sua opinione, non entrare in piccole polemiche personali, ed ecco perché abbiamo preferito evitare riferimenti personali.

Il Maestro

Il mio maestro di judo si chiamava Abbe Kenshiro. Era una persona importante in Giappone, tanto che quando morì l’imperatore e pubblicarono un libro sulle più grandi personalità di quel periodo, dedicarono a lui ben venti pagine. Il maestro Abbe giocava a go, ed era un 1 dan giapponese. Ci dipinse una realtà in cui il go esisteva come gioco educativo e formativo per crescere al servizio della Società. Questo nel ‘68 ci diede una speranza, la speranza di usare il Go per migliorare le capacità di pensiero dei bambini. Questa era la realtà del mio maestro, una realtà che esiste anche in Giappone, anche se lui lasciò il Giappone nel ‘48 perché non gli piaceva la piega che prendevano gli eventi.

Altri Maestri: Yasuda e il Go come educazione

Ho sentito che qualcuno è andato in Corea e si è parlato di quel giapponese che insegna il Go ai bambini, Yasuda. Ho sentito che criticano Yasuda perché con il suo sistema insegna a catturare le pietre, e così poi si deve insegnargli a non catturarle per giocare bene a Go. Ma allora i coreani non hanno capito bene! Yasuda ha come scopo evitare il suicidio dei bambini, non vuol fare campioni di go: sono due cose molto diverse. Può darsi che se vuoi fare campioni di go incoraggi invece il suicidio dei bambini. Yasuda ha dichiarato più volte pubblicamente che si era dedicato a questo perché nel suo paese c’erano troppi suicidi bambini (e aveva aggiunto che “una civiltà si misura da come provvede ai suoi cuccioli”). A lui non frega niente di fare campioni di go, e a me neppure, capisci?

Gli Inizi del Go Italiano

Abbiamo iniziato a giocare a go. Poi ad un certo punto Mercadante ha fatto la federazione ed ha iniziato ad organizzare i campionati italiani. Era un buon organizzatore. Iniziò ad ospitare giocatori professionisti e lì ho iniziato a pensare che erano da tagliar fuori, non c’entravano niente con il mio Go, dei veri cafoni. Preferivo restare attaccato all’idea del mio maestro, del go come gioco educativo.

Mercadante giocava al Gatto Bianco. Noi al Bu-Sen, e c’era gente brava. Allora accaddero alcuni episodi che mi lasciarono perplesso. Arrivò un americano 4d che non giocava con noi per non rovinarsi lo stile. Giocava solo con un giapponese 3d. Capii allora, anche in seguito a vari episodi accaduti durante vari tornei e campionati italiani, che c’era qualcosa che non andava.

Smisi anche di seguire il Go club, che con l’energia di Marvin Wolfthal si era spostato alla Città del Sole. Poi conobbi i Soletti che mi ispirarono fiducia. (Qui siamo a metà degli anni ’80, N.d.R.). Vennero loro a pescarmi in palestra. Venne Gionata. E così son tornato nel gioco, ma per fare la mia critica, che il go è, o almeno dovrebbe essere, un’altra cosa. Qui ogni tanto qualcuno vince, e si vede lontano un miglio che si sente più intelligente. Ma l’intelligenza è una cosa molto complessa...

Il Go Italiano e i mali dell’agonismo

Se da queste parti non viene fuori un giocatore di go che capisca la correttezza, va bene lasciamo perdere. Se il Go deforma, chiudiamo. Io spero sempre che il Go formi, spero che aiuti a trovare la strada.

Fin dall’inizio ho criticato la Federazione, ho criticato questa pazzia agonistica che è di un’imbecillità estrema. Io voglio un posto dove tirar su dei ragazzi che giocano a Go e che, salvo quelli con cui fallisco, non vadano a fare le grandi gare.

Non farei promozione alla Federazione, vorrei invece mettere in piedi un ente di promozione di Go in cui il Go non sia per vincere, dove si può anche arrivare a fare una gara, ma lontani dalle grandi gare. E ti dirò che Ghelli (Luciano Ghelli è l’ex presidente della FIGG, e un buon amico di Cesare N.d.R.) è stato in Giappone di recente e voleva giocare a go: l’hanno mandato ad un go club dall’altra parte della città. Lui ha chiesto che grado avevano, “noi non abbiamo gradi” gli hanno risposto ”i gradi si usano solo fra professionisti”. Allora ha giocato, l’hanno classificato e gli hanno dato le pietre di handicap che servivano. Luciano gli ha detto “facciamo i campionati europei, venite con un charter della Federazione”. “Le federazioni sono dei ladri, noi non veniamo” è stata la loro risposta. Questa è gente che non faceva go agonistico. Io ho rivissuto le stesse cose con il judo agonistico, il karate agonistico, il buddismo agonistico.

Già dal Busen sono venuti fuori tre o quattro che il Go club ha rovinato completamente, capisci? Rovinati completamente. Pensa che di recente gioco con una di queste persone, e mi capita di essere in vantaggio. Allora la vedo fare delle cose turche. Ha perso la calma, e invece di perdere di 5 ha perso di 50. La volta dopo l’ho fatta vincere, magari mi batteva lo stesso, ma l’ho fatto volutamente, per evitare di vedere questa cosa. È l’antieducazione. L’educazione insegna a mantenere il sangue freddo in combattimento. Questo è un gioco da pirla, che non insegna nulla.

Lasciamo ai professionisti la strada dei professionisti. Eliminiamo i premi in denaro, e facciamo le gare con il salame in palio. Vediamo se da tutte queste persone intelligentissime, saranno ormai in 50 che mi battono in Italia, salta fuori qualcuno che va a insegnare ai bambini in una scuola. Non a battere i bambini per fargli vedere che è più intelligente di loro. Perché la cosa sarebbe cretina. Pensa che anni fa avevo proposto che il Go Club Milano si scindesse per fare posto a 3 o 4 go club, in modo che poi ce ne sarebbe stato uno più forte e gli altri più deboli. Cosa fanno i più deboli? Si riversano a fare dell’altro: quando capisci chiaramente che in un posto si radunano i più forti, tu cerchi altri modi di competere che non siano l’agonismo. Non so, insegnare ai bambini. Prepari della gente che vada in una scuola e tiri su 30 bambini a testa e fai la tua garetta con i 30 bambini che diventi una festa. Questo è il go che voglio io.

Il Go per Cesare Barioli: Go-educazione

Io mi interesso di educazione, per insegnare ad affrontare la realtà. Non mi interessa il go in quanto Go, uso il Go per la formazione del ragazzino, e l’approccio qui poteva essere diverso.

Vedi, Karl Marx pensava che cambiando le istituzioni sarebbe cambiato l’essere umano. Kano, creatore del judo, voleva cambiare l’essere umano, sicuro che avrebbe cambiato le istituzioni. Con l’educazione si può cambiare l’essere umano e fare un mondo migliore, non un campione di Go. Gli episodi che ho visto di questi campioni...

Secondo quello che mi dice Luciano, che ha mantenuto questa giovinezza e questo entusiasmo, ce n’è uno solo, quello che gira con i pantaloni corti che è più un giornalista, 8 dan ma non è un professionista ed è tagliato fuori (Sajio Sensei N.d.R.).

La mia visione del Go è questa. L’educazione per me è insegnare a affrontare la realtà. Se il Go serve a questo ha valore. Questo è il Go che mi interessa, è quello che mi hanno insegnato 30 anni fa. Questo Go, quello che fa tremare il tavolo dalla tensione quando uno sta perdendo, non mi interessa per niente. Dobbiamo riuscire a portare il go ad avere un valore per la formazione dell’individuo, come penso l’abbia avuto prima di questa pazzia agonistica.

Voglio raccontarti una cosa. Sai che è venuto da me Masaiko Kimura, il Fausto Coppi del judo? Arriva in cantinetta e racconta, io andavo in gara nel 38 con una spada nel kimono. Se avessi perso mi sarei ucciso. Maestro Kimura, ma in 5 anni di guerra in cui il Giappone ha preso delle batoste mai viste nella storia del mondo, lei non ha trovato modo di morire? Due occhi, questo anziano giapponese, molto poetico. Ha fatto due lacrime. Poi, ad ogni cambio di stagione mi ha mandato una cartolina finché è morto perché un occidentale aveva capito il suo dramma. Lui era il campione dell’opera nazionale balilla, e doveva vincere, perché i giovani nazionalisti dovevano essere i più forti. C’era opposizione alla guerra e si combatteva anche con il judo. Lui è stato il primo dopato intellettualmente. Ora, scendiamo dal fico. Che noi facciamo una gara di go e uno la vinca, va benissimo. Premiamolo col bacio di una ragazza. Chiuso e basta e andiamo a fare un mondo migliore perché questo è un mondo di merda. Se il campione di Go ha avuto una preparazione che lo spinge a fare un mondo migliore, il Go è salvo. Se lo spinge a fare quello che ha fatto il maestro di Go di Kawabata, il Go è morto.

Quando oramai stiamo preparandoci ad andare via, stiamo facendo le usuali foto di rito ed apparentemente l’intervista è conclusa, ci racconta ancora un aneddoto, uno dei tanti con cui ha arricchito la serata.

Mi ricordo di una volta, c’era un giapponese di 75 anni che viveva qua e sua figlia diceva che sarebbe morto se non avesse giocato a Go. Lui veniva portando una brioche e delle caramelle. Portava sempre un regalino. Io mollavo la lezione al ragazzino più grande e giocavo con lui. Capisci? E questo succedeva due o tre volte la settimana. Poi un giorno arrivò con un biglietto con scritto -maestro Barioli non so come ringraziarla, così per ringraziarla mi iscrivo a judo-. Capirai, aveva 75 anni, era conciato. Vuol pagare l’iscrizione, ma mi sono opposto dicendogli che con il Giappone avevo un debito.

Ora, lui era 1 dan quando aveva 15 anni, ma ne erano passati 60!. Do l’ordine che se guarda uno, quello deve cadere. Lui ne acciacca due o tre poi vede le cadute in avanti. Io dico subito -lei non faccia le cadute in avanti-, ma lui mi scappa va dall’altra parte della materassina, io gli corro dietro, lui ridendo come un pazzo mi guarda e grida maestro Barioli! E trac, si rompe una clavicola.

Questo era il mio Go.

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